PADRE NOSTRO NON CI INDURRE IN TENTAZIONE O NON ABBADONARCI ALLA TENTAZIONE

E’ monsignor Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, presidente della Conferenza abruzzese–molisana e noto teologo, ad annunciare in anteprima che “il Messale con la nuova versione del Padre Nostro voluta dalla Conferenza Episcopale Italiana uscirà qualche giorno dopo la prossima Pasqua”. Nella preghiera, l’invocazione a Dio ‘non indurci in tentazione’ è stata modificata con una traduzione ritenuta più appropriata: ‘non abbandonarci alla tentazione’.  “L’uso liturgico sarà introdotto a partire dalle Messe del 29 novembre di quest’anno, prima domenica d’Avvento”.

 

Monsignor Forte, perché i vescovi italiani hanno deciso la modifica di una delle più antiche  e conosciute preghiere cristiane?

 

R. – Per  una fedeltà alle intenzioni espresse dalla preghiera di Gesù e all’originale greco. In realtà l’originale greco usa un verbo che significa letteralmente ‘portarci, condurci’. La traduzione latina ‘inducere’ poteva richiamare l’omologo greco. Però, in italiano ‘indurre’ vuol dire ‘spingere a..’ in sostanza, far sì che ciò avvenga. E risulta strano che si possa dire a Dio ‘non spingerci a cadere in tentazione’. Insomma, la traduzione con ‘non indurci in…’ non risultava fedele.

 

E allora i vescovi italiani hanno pensato di trovare una traduzione migliore…

 

R. – Un interrogativo che si sono posti anche episcopati di tutto il mondo. Ad esempio, in spagnolo, lingua più parlata dai cattolici nel pianeta, si dice ‘fa che noi non cadiamo nella tentazione’. In francese, dopo molti travagli, si è passati da una traduzione che era ‘non sottometterci alla tentazione’ alla formula attuale che è ‘non lasciarci entrare in tentazione’. Dunque, l’idea da esprimere è questa: il nostro Dio, che è un Dio buono e grande nell’amore, fa in modo che noi non cadiamo in tentazione. La mia personale proposta è stata che si traducesse in ‘fa che non cadiamo in tentazione’ però dato che nella bibbia Cei la traduzione scelta è stata ‘non abbandonarci alla tentazione’ alla fine i vescovi per rispettare la corrispondenza tra il testo biblico ufficiale e la liturgia hanno preferito quest’ultima versione.

 

Molti teologi e pastori hanno fatto notare che la vecchia espressione ‘non ci indurre in tentazione’ facesse riferimento alle prove che Dio permette nella nostra vita…

 

R. – Una cosa è la prova, in generale, ma il termine che si trova nella preghiera del Padre Nostro è lo stesso che viene usato nel Vangelo di Luca nel riferimento alle tentazioni di Gesù, che sono  vere tentazioni. Allora, non si tratta semplicemente di una qualunque prova della vita ma di vere tentazioni. Qualcosa o qualcuno che ci induce a fare il male o ci vuole separare dalla comunione con Dio. Ecco perché l’espressione ‘tentazione’ è corretta ed il verbo che le corrisponde deve essere un verbo che faccia comprendere che il nostro è un Dio che ci soccorre, che ci aiuta a non cadere in tentazione. Non un Dio che in qualunque modo ci tende una trappola. Questa è un’idea assolutamente inaccettabile.

 

Questo cambiamento provocherà qualche problema ai fedeli abituati alla vecchia versione?

 

R. – Sostanzialmente, la modifica è molto limitata. Non credo che dovrebbero esserci grossi problemi. Dobbiamo aiutare le persone a capire che non si tratta di voler  un cambiamento fine a se stesso ma di cambiare per pregare in maniera ancora più consapevole e vicina a quelle che sono state le intenzioni di Gesù.

 

Federico Piana – Città del Vaticano