LA SERVETTA EBREA: UN FLEBILE SOSPIRO USCITO DAL GREMBO DEL SILENZIO (II RE 5)

La crisi pandemica che stiamo vivendo ci ha impedito di portare a termine molte delle attività pastorali che avevamo programmate, ci riferiamo ai corsi di formazione e spiritualità, e in particolare ai weekend biblici, il cui tema scelto era: storie minime della Bibbia, le donne di Dio. Non vogliamo però rinunciare, sia pure in maniera sintetica, a presentare la figura di una fanciulla ebrea, un personaggio apparentemente senza storia, senza un nome, senza un volto, quasi una stilla di rugiada che svanisce al primo raggio del sole mattinale, non prima, però, di aver fecondato  almeno una zolla in una terra arida.

Un personaggio tutto distillato in una voce, in un sospiro, in una nota incisa  sull’eterno pentagramma del grande poema della Bibbia, una nota capace di fare vibrare il nostro cuore e accendere le nostre emozioni.

Di questa fanciulla ebrea, di cui non conosciamo né l’alfa né l’omega, né l’alba né il tramonto, l’autore biblico in solo un frammento attimale, ha voluto consegnarci la verità di una vita, di una vita unica e irripetibile, perché la verità di questa vita è il suo racconto, il solo che possa coglierla nella sua totalità.

Una giovane donna ferita, frutto di un bottino di guerra, frutto di un rapimento, venduta o offerta, quale piccolo trofeo, alla moglie del potente generale Naaman. Tuttavia le sue ferite diventano grembo di vita, diventano feritoie che filtrano raggi di luce ad illuminare la casa dei suoi padroni. La piccola schiava ebrea diventa la teofora, il luogo della dimora di Dio nella casa dei pagani.

A ben ragione si addicono a questa fanciulla ebrea le parole di sapienza degli antichi maestri di Israele: “ Quando lo Spirito Santo ebbe ispirato l’ultimo profeta in Israele, prese la sua dimora sulla bocca dei fanciulli, come dice il profeta Gioele 3, 1-2)”.

E, inoltre affermano ancora: “Il mondo si regge sul lieve respiro dei bambini che imparano a balbettare parole di Torah”.

Dopo queste brevi parole di introduzione,vogliamo entrare nella storia di questa ragazzina ebrea affidandoci alla penna agile e alla mano sapiente della pastora Lidia Maggi, autrice di un delizioso volumetto: Le donne di Dio. Pagine bibliche al femminile.

“In una storia, come quella che ci viene raccontata nel secondo libro dei Re, che vede come protagonisti grandi personaggi maschili, si intrufola la memoria di una ragazzina ebrea. Essa rappresenta il personaggio chiave, colei che “dà il la” all’intera narrazione e mette in moto l’incontro e la conversione di un capo siriano, il generale Naaman.

 E’ solo una piccola schiava la ragazzina che permetterà ad Eliseo di estendere la sua fama oltre i confini di Israele e a Naaman di guarire dalla lebbra e incontrare il Dio vero. Non sappiamo il nome di questa ragazzina, ma dal racconto veniamo a conoscenza di alcuni tratti della sua biografia.

 Alcune bande di Siri, in una delle loro razzie, avevano portato prigioniera dal paese di Israele una ragazzina che era passata al servizio della moglie di Naaman, il generale forte e intrepido, ma davanti a un nemico subdolo e inafferrabile come la lebbra si sentiva impotente e sprovveduto. La ragazzina disse alla sua padrona: “Oh, se il mio signore potesse presentarsi al profeta che sta a Samaria! Di certo, egli lo libererebbe dalla sua lebbra!” (II Re 5, 2-3). La piccola ebrea, strappata ai sui cari e alla sua terra, e data alla moglie del capo dell’esercito siriano, deve aver conosciuto e sofferto la paura dell’esilio. Non sembra, tuttavia, abitata dal rancore; anzi, partecipa alle sofferenze delle persone che l’hanno ridotta in schiavitù.

Pur adattandosi e integrandosi nel nuovo contesto di vita, essa conserva la memoria delle sue origini. Ed è proprio di questa che si avvale per aiutare il suo padrone malato. Lei, piccola, debole e straniera, è in grado di fare qualcosa per quell’uomo forte e, tuttavia, fragile a causa della malattia. I ruoli tradizionali si rovesciano in una sottile ironia che vede il potente soccorso dalla più debole, il padrone “liberato” dalla schiava. In questo gioco di capovolgimenti una persona umile e insignificante possiede informazioni che i sapienti non hanno. E’ una ragazza audace, la piccola schiava ebrea. Ma anche saggia. Ha imparato l’etichetta, sa stare al suo posto, pur riuscendo a far giungere all’interessato le informazioni preziose in suo possesso. Non si rivolge direttamente al padrone, ma attraverso la moglie indica la via per la soluzione del problema. E’ una parola autorevole quella della ragazzina, al punto da mettere in moto l’intero regno.

“Naaman andò dal suo signore, il re di Siria,, e gli riferì la cosa, dicendo: “Quella ragazzina del paese di Israele ha detto così e così” (II Re 5, 4).

Dunque, per guarire dalla lebbra Naaman, secondo quanto suggerisce la ragazzina ebrea , deve rivolgersi a Eliseo. In quanto profeta straniero, per consultarlo è necessario il permesso e la mediazione del re. Gli affari di politica estera vanno condotti tra sovrani! E così il re di Aram scrive una lettera al re di Israele. Quest’ultimo si infuria, ritenendo impossibile la guarigione e giudicando la richiesta pretestuosa. Ma Eliseo, venuto a conoscenza della situazione, si fa avanti, supera le diffidenze di Naaman e, oltre a compiere la guarigione, converte il dignitario al Dio di Israele.

La scena diventa persino comica. Naaman rifiuta di bagnarsi nel Giordano, ritenendo troppo facile questa via di guarigione. Ancora una volta sono gli umili che fanno rinsavire i potenti: i servi lo spingono, suo malgrado, a provare. Di fatto Naaman guarisce nelle acque del Giordano. Quanto alla servetta ebrea, essa scompare dalla scena. Non sappiamo se sarà stata ricompensata dal suo padrone con la libertà o con doni e privilegi. In ogni caso dovremmo attribuirle l’Oscar come migliore attrice non protagonista!

Qualcuno potrebbe essere tentato di liquidare questo personaggio riducendolo a uno stratagemma letterario impiegato dal narratore per spiegare come il grande e potente Naaman giunga a incontrare Eliseo. Ma nella figura di questa saggia ragazzina è conservata la memoria di un Dio che si serve delle persone più insignificanti per operare i suoi prodigi. Un Dio che deride i potenti e rende gli umili protagonisti della storia della salvezza.

Come già Giuseppe. Anche lui sradicato dalla sua terra e finì schiavo in Egitto. Giuseppe ricevette compensi e compì una notevole ascesa sociale. Di questa piccola, invece, non sappiamo nulla. E’ poco probabile, però immaginarla nelle vesti di una donna in carriera. Esce subito di scena, dopo aver elargito la sua sapienza gratuitamente: Come Eliseo rifiutò i doni generosi di Naaman, anche questa ragazza sembra non aver preteso nulla in cambio.

La storia biblica che allestisce lo scenario della salvezza funziona per l’audacia dei protagonisti, ma non trascura il ruolo dei suggeritori. Questi ultimi ricordano ad attori smemorati senza poter, a loro volta, calcare la scena e strappare applausi.”

Ospiti di questa ragazzina ebrea, ci vogliamo congedare a modo di saluto con  le parole che ci offre il Salmo nella poetica traduzione di padre Davide Maria Turoldo.

“Come splende, Signore Dio nostro,/il tuo nome su tutta la terra:/la bellezza tua voglio cantare,/essa riempie i cieli immensi./Da fanciullo e lattante balbetto:/un baluardo a tua casa innalzasti/costringendo al silenzio i superbi,/confondendo ogni tuo avversario” “Salmo 8, 2-3).

Ed è, perché illuminati dalle parole di luce di questo Salmo, che i maestri di Israele hanno potuto affermare che il mondo si regge sul lieve respiro dei bambini che imparano a balbettare parole di Torah”.

Prof. Nazareno Pandozi