ONORA TUO PADRE E TUA MADRE UN RAPPORTO DI SANTITA’ CON CHI CI HA FATTO ESISTERE

Si noti molto bene il titolo: un rapporto di santità con chi ci ha fatto esistere: il comandamento di onorare il padre e la madre. Specialmente nella seconda parte sono debitore dell’insegnamento di Paolo De Benedetti, mio venerato maestro. “Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe” (Es 3, 6). Dio nella Bibbia si offre agli uomini attraverso i loro padri, Dio è colui che viene raccontato dal padre al figlio. Nella tradizione biblica Dio, attraverso le labbra del padre, viene reso presente nella catena delle generazioni come patrimonio famigliare.

“Onora tuo padre e tua madre” è un comandamento rivolto a tutta l’umanità, e possiamo dire che fa parte di quei valori della rivelazione primordiale, di cui parlano i Padri della Chiesa. Giustino martire parla dei semi che il Verbo eterno di Dio aveva sparso sul terreno e nel cuore dell’umanità primordiale.

E’ per questo che gli antichi santi Padri consideravano la sapienza pagana come “un’istruzione propedeutica alla fede cristiana” per usare un’espressione cara a papa Giovanni Paolo II.

Si potrebbe parlare addirittura di una santità pagana, basterebbe pensare alla grande figura di Antigone, la quale, posta dal re Creonte a calpestare la legge impressa nel cuore di ogni uomo di dare degna sepoltura al proprio fratello, disobbedisce al comando del re, e per questo, rinchiusa in una prigione sotterranea, preferisce darsi la morte. Antigone è diventata l’emblema del primato della legge della coscienza impressa da Dio nel cuore di ogni uomo. Può, a mio parere essere considerata la prima martire e la prima santa del calendario dell’etica e della santità pagana.

Antigone, inoltre, ci offre un grande esempio di pietas filiale nei confronti del padre Edipo, la quale dopo la terribile rivelazione, non condanna il padre, ma accompagna il padre che si è autopunito accecandosi, lo prende teneramente per mano e lo accompagna verso il luogo dell’espiazione e della purificazione, a Colono, in Attica.

“Onora tuo padre e tua madre” comandamento impresso da Dio nella coscienza di ogni uomo, abbiamo detto.

Vorrei presentare due icone tratte dal mito greco-romano.

Chi non ricorda Enea, che dopo la distruzione della città di Troia, la città ormai in fiamme, si carica sulle spalle il vecchio padre Anchise per portarlo in salvo? Stupendo il gruppo statuario del Bernini: Enea che porta sulle spalle il vecchio padre Anchise, seguito dal figlioletto Ascanio, che reca nelle mani  l’unico patrimonio famigliare. Le statuette degli dei protettori della famiglia: i sacri Lari.

Pietas filiale, valori sacri della famiglia: una scena di santità pagana. Un figlio che porta sulle proprie spalle il vecchio padre e un bambino che reca nelle sue mani il “sacramento dell’unità e della sacralità della famiglia: i sacri Lari, saranno per loro il viatico per continuare la generazione.

Mi viene in mente un’associazione evangelica contemplando questa scena: chi dava la forza ad Enea nel sostenere sulle spalle il vecchio padre Anchise? E’ proprio il bambino Ascanio, che rappresenta il futuro. Dice un’antica antifona cristiana che cantiamo nella festa della Presentazione al Tempio del Bambino Gesù, che il vecchio Simeone prende tra le sue braccia: "Senex puerum portabat, puer autem senem regebat”.

L’icona del mito romano di Cimone e Pero.

Il vecchio Cimone si trovava in un carcere condannato a morire di fame per un delitto mai commesso, al tempo della Roma repubblicana. Sua figlia Pero ottiene il permesso per entrare nel carcere a patto di non portare cibo al condannato. Ha da poco partorito e allatta il suo piccolo. Con lo stesso latte, di nascosto, nutre il padre. Così passa il tempo e Cimone non muore.

Il carceriere comincia a sospettare che qualcosa di strano stia accadendo e controlla di nascosto ciò che fa la donna ogni qualvolta la donna si reca in visita dal vecchio genitore. Coglie in flagrante Pero mentre sta allattando Cimone, ma le autorità, commosse per il gesto disperato di “pietas” della donna, concedono il perdono a Cimone e la libertà. In memoria di questo evento, Quinto M. Acilio fece costruire un tempio dedicato alla Pietas Romana, ove ora si trova il Teatro di Marcello.

Se ho riportato questi esempi della pietas filiale che ci vengono offerti dalla cultura classica, è perché sono convinto che le radici della nostra civiltà europea poggiano sulle tre civiltà: la civiltà di Atene, la civiltà di Roma e la civiltà di Gerusalemme. Ogni anno celebriamo la festa  dei santi fratelli Cirillo e Metodio, i quali insieme alla predicazione evangelica presso i popolo slavi, furono portatori anche di una grande civiltà, tant’è vero che Giovanni Paolo II, molto sensibile alla cultura slava, volle proclamarli patroni d’Europa insieme all’altro gigante, san Benedetto, che potremmo definire il grande architetto della civiltà europea, la saggezza della sua regola monastica costituiva la mirabile sintesi dei valori cristiani e dei valori della cultura classica.

Andiamo idealmente ai piedi del monte Sinai e mettiamoci in ascolto della voce del Signore. Faccio notare come i maestri d’Israele sottolineano che le parole uscite dalla bocca del Signore furono udite da tutti gli uomini di tutti i tempi, idealmente adunati  ai piedi del monte. Le parole del Signore risuonarono nelle settanta lingue dei popoli, numero simbolico che nella Bibbia rappresenta la totalità.

I cosiddetti Dieci comandamenti, o meglio le Dieci parole, Asseret hadevarim, le troviamo ripetute in due recensioni dello stesso Decalogo: nel Libro dell’Esodo (cap. 20), e nel Libro del Deuteronomio (cap. 5). Questa duplice ripetizione già vuole sottolineare la sua fondamentale importanza.

“Kabbed eth avika weeth immeka: onora tuo padre e tua madre.

Esodo 20,12 “Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio”.

Deuteronomio 5, 16 “Onora tuo padre e tua madre, come il Signore Dio tuo ti ha comandato, perché la tua vita sia lunga e tu sia felice nel paese che il Signore tuo Dio ti dà”.

Una prima osservazione che balza davanti agli occhi è questa: il comandamento di onorare il padre e la madre è l’unico fra i dieci a cui segue una ricompensa: “perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il tuo Dio di dà, perché la tua vita sia lunga e tu sia felice nel paese che il Signore tuo Dio  ti dà”.

Non è già questo un forte segnale dell’importanza che Dio ha voluto caratterizzare questo comandamento?

Ma la Bibbia non smette di stupire. Nel libro del Deuteronomio leggiamo: “Quando, cammin facendo, troverai sopra un albero o per terra un nido d’uccelli con uccellini o uova e la madre che sta covando gli uccellini o le uova, non prenderai la madre sui figli; ma scacciandola, lascia andare la madre e prendi per te i figli, perché tu sia felice e goda lunga vita” (Dt 22, 6-7).

Quanta tenerezza in questo comandamento! L’atto di sottrarre gli uccellini o le uova dal nido su cui la madre sta covando con il calore del suo cuore viene vissuto dall’autore sacro come un atto infame e disumano. Ma sarebbe ancora maggiore se tutto questo lo fai sotto gli occhi della madre. Risparmia alla madre questo supplemento di dolore lasciandola andare prima che tu compia questo gesto sacrilego. Se ogni vita partecipa della sacralità, il dolore della madre e le sue lacrime Dio le raccoglie e le conserva nel suo cuore ferito. Nella Bibbia troviamo donne-madri che portano il nome di Zippora, che in ebraico significa rondine, questo nome lo portava la moglie di Mosè, che, in qualche modo, potrebbe alludere a tutte le madri, i cui figli sono schiavi in Egitto.   

Questa esplicita menzione della ricompensa all’osservanza di un precetto è fatta solo due volte nella Bibbia: in questo caso e nel decalogo dove si dice: “Onora tuo padre e tua madre come il Signore tuo Dio ti ha comandato, perché si allunghino i tuoi giorni e ti venga bene” (Dt 5, 16).

Come possiamo osservare,  Dio non fa nessuna distinzione fra la maternità umana e quella animale, la maternità è un bene grandemente prezioso agli occhi di Dio, proprio perché la maternità e la paternità, sia essa umana sia essa animale, sono il riflesso della stessa ed unica paternità del Creatore, dell’unico Padre.

Dio non vuole che la maternità  venga offesa, neppure la maternità animale e nella Bibbia troviamo dei precetti che la tutelano, ed esprimono tutta la tenerezza di Dio verso questa realtà sacra.

Potrei riportare molti testi biblici a questo proposito; ne cito solo alcuni.

“Quando nascerà un vitello o un capretto, starà sette giorni sotto la madre; d’all’ottavo giorno in poi, sarà gradito come vittima da consumare con il fuoco per il Signore” (Levitico 22, 26-27), cf. Esodo 22, 28-29.

“Non scannerete vacca o pecora lo stesso giorno con il suo piccolo” (Levitico 22, 28).

Molto bello il commento di Mosè Maimonide, che scrive: “Non v’è alcuna differenza tra il dolore che proverebbe in questo caso un essere umano e un animale, perché l’amore e la tenerezza di una madre per il figlio non dipendono dalla ragione, ma dall’azione delle facoltà immaginative che la maggior parte degli animali possiede quanto l’essere umano”.

 Un’antichissima e venerabile tradizione che risale a Filone di Alessandria, l’ebreo coltissimo e aperto alla cultura ellenistica, collocava il  comandamento dell’onore che si deve al padre e alla madre come quinto comandamento che chiude la prima tavola nella quale sono riportati i comandamenti che riguardano la verticalità, cioè i doveri verso Dio, che in ebraico vengono chiamati “ben Adam la Maqqon”, mentre nella seconda tavola vengono riportate le prescrizioni attinenti al piano orizzontale o interpersonali dell’esistenza umana, i doveri verso il prossimo, in ebraico vengono chiamati “ben Adam la chaverò”.

Ad un primo approccio e anche a rigor di logica, il comandamento di onorare il padre e la madre, dovrebbe essere collocato nella seconda tavola, che regola i rapporti fra le persone, con il prossimo, e il primo prossimo è proprio il padre e la madre, dunque le relazioni famigliari.

La ragione primaria data dalla tradizione ebraica è la seguente: il comandamento ci ricorda che in realtà, ognuno di noi non possiede unicamente due genitori, ma tre: il padre, la madre e Dio, essendo quest’ultimo il “genitore” di entrambi, in quanto creatore della  coppia primigenia.

Nei volti dei genitori è riflessa l’immagine di Dio con tutte le sue conseguenze che, nel bene e nel male, ne possono derivare.

Un passo talmudico dice: “un discepolo fece alla presenza di Rabbi Nachman la seguente riflessione: quando un uomo maltratta il proprio padre e la propria madre, il Santo e Benedetto dice rivolto a se stesso: Bene ho fatto a non abitare nella dimora di costui, perché altrimenti avrebbe maltrattato anche me”.

Un’altra osservazione: “Onora tuo padre e tua madre”, nella lingua ebraica viene espresso con questo imperativo positivo: “Kabbed”, che significa “dai gloria, glorifica, dai peso”, quindi alla lettera si dovrebbe tradurre: “Glorifica tuo padre e tua madre”. Ora la gloria si deve dare solo a Dio, solo Dio si deve glorificare, ebbene Dio nel dare questo comandamento ha voluto condividere la sua gloria con i genitori. Proprio perché il Creatore di tutte le cose ha voluto condividere il suo potere di Creatore con i genitori.

Altra osservazione molto importante che si deve fare a questo proposito è la seguente. Solo due comandamenti sono espressi nella forma positiva: l’osservanza del Sabato, cioè il culto a Dio e l’onore dovuto al padre e alla madre. Tutti gli otto rimanenti sono espressi nella forma negativa: “Non fare!”.

Quindi, ora si comprende meglio il valore profondo del titolo che abbiamo dato a questa catechesi: Un rapporto di santità con chi ci ha fatto esistere”.

Tale rapporto lo si coglie molto bene nel passo del Levitico (19, 1-3) in cui Dio comanda a Mosè: “Parla ai figli d’Israele e di’ loro: Siate santi come io sono santo, il Signore vostro Dio. Abbiate rispetto ciascuno per sua madre e suo padre, e osservate i miei sabati. Io sono il Signore”.

L’onore ai genitori viene innalzato al culto di Dio, alla sua stessa santità.

Secondo una tradizione rabbinica il comandamento di onorare il padre e la madre sarebbe addirittura superiore anche al dovere di rendere culto a Dio, perché il povero non è tenuto a pagare le decime e ad offrire sacrifici a Dio, mentre “che tu abbia mezzi o no, devi seguire il comandamento anche nel caso che tu sia costretto a mendicare di porta in porta”.

Altra osservazione molto importante è che il comandamento viene formulato in forma apodittica, non pone nessuna condizione; non ordina cioè di onorare i genitori “se” essi lo meritano personalmente. E’ estranea allo spirito del decalogo l’idea che esistano padri e madri immeritevoli di onore.

I genitori, i “miei” genitori da cui sono nato, sono un’immagine divina, un antico dottore d’Israele, quando udiva il passo di sua madre, esclamava: “Mi alzo dinanzi alla Presenza divina”. Noi riusciamo a capire qualcosa di Dio e dei suoi sentimenti verso di noi solo partendo da ciò che è un padre  o una madre.

Così parla Dio per bocca del profeta Osea:

“Quando Israele era un bambino

Io l’ho amato,

e dall’Egitto ho chiamato mio figlio…

A Efraim io insegnavo a camminare

tenendolo per mano,

ma essi non compresero.

che avevo cura di loro.

Io li traevo con legami di bontà,

con vincoli di amore;

ero per loro

come chi solleva un bombo alla sua guancia;

mi chinavo su di lui

per dargli da mangiare (Osea 11,1. 3-4).

 

Questa rivelazione dell’amore di Dio diviene ora nostra esperienza proprio perché passa attraverso la figura di nostro padre e di nostra madre: solo per questo, dicendo a Dio “padre”, diciamo qualcosa che sappiamo, in tal modo ci stringiamo a lui e viviamo quella che la Bibbia chiama alleanza.

 Ogni figlio può diventare padre, e ogni padre e madre, quando la vecchiaia e la malattia, il dolore l’hanno consumato, è di nuovo figlio nell’attenzione ormai paterna e materna dei suoi figli, o è di nuovo orfano nel loro abbandono:

 

“Figlio, soccorri tuo padre nella vecchiaia

e non lo contristare durante la sua vita.

Anche se gli viene meno il senno,

abbine compassione

e non disonorarlo nel giorno del tuo vigore.

L’aiuto dato al padre non sarà dimenticato

E in sconto dei tuoi peccati ti sarà computato” (Siracide 3, 12-24).

 

“Non disprezzare tua madre

quando invecchierà” (Proverbi 23,22).

 

Il declino dei genitori e la loro morte sono, con il dolore dei bambini, una delle più grandi e misteriose tragedie umane: in loro declina e muore la nostra infanzia, la nostra condizione di figli, lo schermo che, nascondendoci la morte, rendeva la vita piena di speranza e di futuro.

Quando abbiamo visto morire i genitori, cominciamo a conoscere il lato oscuro della vita, gli anni di cui dice il Qohelet: “non mi piacciono” (12,1).

Con la morte di nostro padre e di nostra madre, è finito per noi il comandamento? Interroghiamo allora la Scrittura.

“Non avete letto nel libro di Mosè, nel punto del roveto ardente, come Dio gli abbia parlato dicendo: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe? Non è il Dio dei morti, ma dei vivi”(Mc 12, 26-27).

Dio stesso, oltre la morte, onora il padre e la madre in vece nostra, ricambiando “scossa e pigiata” quella misura di vita che essi hanno portato nel mondo.