Gabriele Mattei

GABRIELE MATTEI

Sui contrafforti degli Ausoni prospicienti la piana di Fondi, favorito da una posizione e da un clima incantevole, è collocato un piccolo santuario mariano dalla storia ormai plurisecolare, anche se finora quasi sconosciuta fuori dell’ambito locale: il Santuario della Madonna del Colle di Lenola.

Occasione per farlo conoscere meglio può essere la causa di beatificazione del servo di Dio Gabriele Mattei, la cui vicenda, particolare, nell’ambito delle apparizioni mariane, val la pena di essere brevemente ripercorsa.

 

Lo facciamo sulla scorta della prima storia del Mattei e del santuario, composta, «a richiesta fattami da tanti devoti di Maria», dal domenicano Antonio Maria Battista, nel 1683, a pochi anni di distanza dalla morte del Mattei. Questo, come gli altri testi citati, conoscono ora finalmente una prima edizione critica a cura della commissione storico-archivistica costituita proprio per l’apertura della causa di beatificazione.
Gabriele è un giovane poco più che ventenne, di cui non sappiamo granché, ma evidentemente non è uno stinco di santo se medita un omicidio insieme ad altri tre compagni di paese, per un affronto subìto.

 

È la notte fra il 14 e il 15 settembre del 1602, vigilia della festa della Madonna Addolorata. Tormentato, cerca di placarsi ritirandosi in montagna in compagnia della sua chitarra; infine, per la realizzazione del suo proposito, invoca il demonio che gli compare davanti in visione. Si fa allora il segno della croce e si affida a Maria che appare sulla cima del colle e lo invita a mutare vita. Di fronte allo spavento di Gabriele, lo rassicura (come a suo tempo aveva fatto, a parti invertite, l’angelo con lei): «Fermati figlio, ove vai? Non ti allontanare. Confida nella mia infinita bontà e ti salverai. Son colei che tu poco anzi hai chiamata». E lo invita a ricercare una sua immagine presso un antico luogo di devozione, ormai ridotto a un rudere, da dove «giammai ho tolti i miei sguardi alla tua patria». Lì egli avrebbe poi dovuto edificare un tempio a lei dedicato.

 

Il mattino dopo, Gabriele si tira indietro dal compiere il misfatto pattuito coi compagni. Il ritrovamento del segno che gli aveva indicato la Madonna diventa ora per lui non solo la conferma della veridicità della visione, ma anche l’unica possibilità di salvare la pelle di fronte alle minacce dei complici che lo accusano di coprire con dei pretesti la sua vigliaccheria.
Per fortuna (o meglio per grazia) il rinvenimento prodigioso avviene e porta al pentimento anche i compagni di Gabriele.

 

E, come racconta con vivacità il domenicano Battista, si accompagna a un altro prodigio: a quella stessa ora, infatti, «tutti i fanciulli di detto paese, uniti per istinto superiore, a torme si portavano per le strade tutti giulivi gritando: “È stata ritrovata Maria, è stata ritrovata Maria!”. A queste tenere voci tutto il paese si sentì commosso e pieno di giubilo e tutti domandavano cosa avessero significato quei griti e nessuno sapeva dire l’accaduto». Si capisce cosa sia accaduto non appena si spande la notizia della visione e del ritrovamento dell’immagine.

 

Tutti accorrono sul Colle e fra loro il vescovo di Fondi Comparini, che si trovava a Lenola per la consacrazione della chiesa di Santa Maria Maggiore: sarà proprio lui il primo testimone di quanto avvenuto (avrà cara Maria Santissima del Colle fin sul letto di morte).
Gabriele già pochi giorni dopo veste i panni dell’eremita e prende la via di Napoli e poi della Spagna e della Francia, dove portando con sé copia dell’immagine prodigiosa ottiene molti miracoli e le risorse che permettono di iniziare la costruzione del santuario.

 

Riconoscenza e carità diventano il motto dello stemma del santuario: “Charitas semper Deo gratias”. E Gabriele diventa fra Deogratias.
Il tempo che segue è tempo ordinario, tempo di lavoro e di preghiera, necessario a preparare da una parte un luogo che sarà conforto e rifugio per il popolo e il clero di quella terra nei secoli a venire (al riparo del santuario, dal 1620, si insedierà, per esempio, fino ai giorni nostri, la residenza estiva del seminario e del vescovo) e dall’altra l’epilogo emblematico della vicenda terrena del suo iniziatore.

 

Costui, non essendo uno sprovveduto (come fanno capire le fonti), per l’opera intrapresa si era dovuto industriare non solo con la preghiera, e con spirito imprenditoriale aveva impiantato una “fabbrica del ghiaccio” scavando un pozzo di raccolta della neve che fruttava bene. Ma proprio questa relativa prosperità fin da subito, come si evince da un grazioso carme in ottave del 1625, aveva dato luogo a dicerie, e il vescovo Pinto negli anni successivi era giunto ad accusare pubblicamente fra Deogratias di essersi arricchito col santuario, benché egli nel 1652 con uno scritto avesse rinunciato formalmente ai proventi, eccettuato quanto poteva servire a lui e a pagare «quel poco resto di debito che tiene fatto esso fra Deogratias per causa delli bisogni di detta chiesa, come è notorio a tutti, […] perché non è conveniente che chi ha fatto il piacere di servitio prestito de denari venga poi ad essere fraudato et habbia occasione lamentarsi con ragione contro di me fra Deogratias come fondatore di detta opra, perché desidero vedermi quieto et concordato con tutti avanti ch’io mora quando piacerà a Dio, che poco tempo mi resta de vita. Semper Deo gratias».

 

La lealtà non sempre è apprezzata, anzi, specialmente in certi ambienti è ritenuta segno di debolezza, quando non anche confessione di colpa.
Fatto sta che pochi anni dopo, alla vigilia della prima domenica d’Avvento del 1656, Gabriele durante la notte viene ferito a morte appena fuori del santuario da tre uomini. Le fonti nulla ci dicono circa i motivi di questo gesto, presumibilmente dovuto all’astio covato verso un uomo autorevole e leale: magari gli stessi motivi che avevano portato lui e i suoi compagni a progettare anch’essi un assassinio più di cinquant’anni prima.

 

D’altronde il martirio, per essere tale, deve scaturire da odio puro, affonda le sue radici nel mistero di Dio; e allora bisognerà ricordare che proprio fra Lenola e Fondi si stende quella Valle dei martiri, che la tradizione vuole sia stata teatro nei primi secoli della testimonianza di numerosi martiri, per poi divenire – testimone san Gregorio Magno – insediamento di una comunità monastica che per secoli vi avrebbe risieduto (quel monastero di San Magno da poco riportato in vita non solo come bene archeologico e paesaggistico, ma come luogo di una nuova esperienza monastica).A Lenola si respira un’aria unica, che è nello stesso tempo l’aria salubre di colli affacciati sul mare e l’aria salutare del desiderio di colli eterni.


Lorenzo Cappelletti

fra Deogratias

gabriele mattei