MARIA ODIGITRIA COLEI CHE INDICA IL CAMMINO DI DANTE

Madonna_odigitria

Dante, destatosi dall’oscurità  del suo torpore, l’esperienza della selva oscura, si risveglia con la coscienza della colpa che esprime per ben due volte con la metafora della “via”: “che la diritta via era smarrita”; “Io non so ben com’i’ v’intrai,/ tant’era pien di sonno a quel punto/che la verace via abbandonai”.

Ma la Vergine Maria, attraverso Lucia e Beatrice, veglia su di lui, e si rivela come la sua “viva stella”, la stella del mattino, la stella polare,che guiderà il poeta nel suo cammino “alto e silvestro”. Come risuonano vere, nell’esperienza di Dante, le parole luminose di san Bernardo di Chiaravalle,a cui il poeta affiderà la preghiera finale nel Paradiso: “E’ Maria quella nobile stella nata da Giacobbe, il cui raggio illumina l’universo intero, il  cui splendore rifulge nei cieli e penetra negli abissi […] Ella è la stella fulgida e unica, necessariamente elevata sul mare maestoso e immenso, splendente di meriti e lucente di esempi.[…]Tieni ben fisso lo sguardo al fulgore di questa stella, se non vuoi essere spazzato via dagli uragani […]Respice stellam, voca Mariam”.

Nell’esperienza di Dante abbiamo un rovesciamento: non è il poeta che, dal profondo dell’abisso, ha rivolto il suo sguardo a questa stella luminosa, ma è un raggio di questa stella non invocata che ha folgorato il poeta smarrito nella oscurità del peccato e della colpa.

Non c’è lettore di Dante che non ricordi una formula piena di mistero, di magia, di sortilegio, quasi un esorcismo che Virgilio, la guida di Dante, pronuncia quando gli oscuri custodi dell’Inferno sbarrano il cammino al pellegrino. Formula reiterata ben tre volte: “Vuolsi così colà dove si puote/ciò che si vuole, e più non dimandare”.

Questa formula, diventata quasi proverbiale nella vulgata, a ben rifletterci, è una risonanza di un verso della preghiera che san Bernardo rivolge alla Vergine Maria nel canto XXXIII del Paradiso, preghiera di intercessione rivolta alla Vergine perché il poeta possa, alla fine del suo viaggio, contemplare il mistero di Dio.  “Ancor ti priego, regina, che puoi/ ciò che tu vuoli…”. Con questa formula Virgilio mette a tacere i mostri infernali, è come dire: “Maria lo vuole”. E’ questo “il lasciapassare” per proseguire il cammino, e ogni ostacolo è superato.

Il nome di Maria, come quello di Cristo e di Dio, è sempre taciuto nell’Inferno, il suo cuore di Madre non reggerebbe a vedere tanti suoi figli perduti. Anche a loro aveva mandato una Lucia, una Beatrice e un Virgilio: ma invano! Come non sentire una risonanza della parabola lucana del ricco Epulone e del povero Lazzaro, nella sentenza del padre Abramo: Tra i beati nel cielo e i dannati nell’inferno è stato scavato un grande abisso!

Ma l’identificazione è indubbia, essa è “la donna gentil” che dal cielo si compiange per la sorte di Dante smarrito nella selva oscura, inoltre essa è l’unica creatura che possa infrangere un decreto divino, è la regina del cielo con l’autorità di disporre degli altri beati.

Il nome di Maria nella Divina Commedia compare per la prima volta nel III canto del Purgatorio, il canto della divina misericordia, il canto di Manfredi, quando, Virgilio, lui  simbolo dell’umana ragione, ammonisce gli uomini dalla pretesa di voler indagare gli insondabili misteri di Dio con la sola ragione: “ State contenti, umana gente al quia;/ché, se potuto eveste veder tutto,/mestier non era parturir  Maria”. E’, infatti, attraverso Cristo, germinato nel grembo di Maria che Dio ha voluto rivelarci gli arcani misteri, di fronte ai quali la ragione umana impallidisce.

Nel Purgatorio, il regno della purificazione, che potrebbe, a ragione, essere definito terra di Maria, si intensifica  la  sua presenza benefica; straordinaria è la confessione di Buonconte da Montefeltro nel V canto, peccatore impenitente, che su richiesta di Dante, racconta la sua morte in riva all’Arno, in seguito alle ferite riportate nella battaglia di Campaldino. Il demonio, il nero cherubino, era già pronto a rapirne l’anima, ma la Vergine Maria, invocata, mentre esalava l’ultimo respiro, mandò dal cielo un angelo a strappare l’anima di Buonconte salvandolo dall’inferno, una scena veramente drammatica. “Quivi perdei la vista e la parola;/nel nome di Maria fini’, e quivi/caddi, e rimase la mia carne sola”.

Dante e Virgilio nella loro salita verso la santa montagna giungono in una valletta cosparsa di fiori primaverili: un gruppo di anime intona il canto del Salve Regina: sono sedute compostamente, dai loro volti traspare la maestà grave e solenne. Sono le anime dei principi, che sulla terra trascurarono la salvezza della loro anima. Ora attendono di essere ammesse alla purificazione. Con questa preghiera esse invocano la Vergine Maria perché possano presto uscire da questo esilio purgatoriale per  vedere presto il volto di Gesù, è una preghiera che ben esprime il desiderio e la nostalgia struggente che esse hanno di salire verso il monte della purificazione. Questa piccola valle pare trasformarsi in un tempio da cui sale il canto grave e solenne che si scioglie tra il profumo degli incensi e i colori tenui della primavera purgatoriale. Sembra di contemplare una miniatura del Beato Angelico.

Le anime purgatoriali non solo pregano e cantano gli inni della liturgia, ma sono anime in ascolto della Parola di Dio. In ognuna delle sette balze purgatoriali, un angelo proclama le sette beatitudini evangeliche; in questa architettura si rivela il  genio teologico e poetico di Dante. La ecclesia purgatoriale è fondata sulla Magna charta delle beatitudini, la cui continua proclamazione e ascolto devoto, diventano lo specchio luminoso nel quale le anime vedono riflessa l’immagine di Cristo, la vera icona di ogni beatitudine.

Ancora un’osservazione: nelle sette balze dove le anime si purificano dei sette peccati capitali, alle anime viene sempre offerto un exemplum positivo, opposto al peccato; l’exemplum viene sempre tratto da una virtù della Vergine Maria. A volte l’exemplum appare scolpito, come un bassorilievo, a volte viene proclamato. Così nella seconda balza, dove le anime si purificano dal peccato dell’invidia, queste anime hanno gli occhi cuciti con il fil di ferro, e quindi non possono vedere, una voce proclama la preghiera che Maria rivolse al Figlio alle nozze di Cana, quando si accorse che il vino si era esaurito, e con quello, la gioia degli sposi e dei convitati sarebbe venuta meno: “La prima voce che passò volando/“Vinum non habent” altamente disse,/e dietro a noi l’andò reiterando”

Dante ci presenta Maria nel Purgatorio non solo come la madre misericordiosa,invocata dalle anime nel Salve Regina, ma soprattutto nella sua funzione di pedagoga delle anime che si stanno purificando dei loro peccati. Maria si offre a queste anime non tanto attraverso  suoi privilegi, quanto attraverso il suo cammino di discepola che, alla scuola del suo Figlio Gesù, ha vissuto le beatitudini, che ora nel regno della purificazione, le porge alle anime che guardano a lei come allo specchio di perfezione evangelica.

Un’ultima osservazione dell’itinerario di Dante per Maria e con Maria: Dante trasvolato in compagnia di Beatrice nel cielo della luna, il primo dei nove cieli, contempla alcuni beati che sembrano trasparire come evanescenti da un terso cristallo. Una di queste anime beate, Piccarda Donati, monaca clarissa, racconta a Dante la sua vicenda, come fu strappata con violenza dalla pace del chiostro per essere data in moglie a un tal Rossellino della Tosa per pura ragione di fazione partitica.

Ora, qui nel Paradiso, nel cielo della luna, Piccarda ha trovato la pace, quella pace che  uomini violenti  sulla terra le avevano rapito, e che ora Dio le ha restituito, perché “in sua volutade è nostra”,  quella pace, come dice il Manzoni, che il mondo irride, ma che rapir non può:

Le parole con le quali rievoca la sua fugace storia terrena, la sua volontà di consacrarsi a Dio nel chiostro, e la violenza subita, sono appena venate da un sottile velo di malinconia, la violenza subita, la malvagità degli uomini, appena accennate e attutite dal perdono. Questa creatura trasparente che Dante intravede come immagine riflessa nel terso cristallo, ora legge gli umani accadimenti nella luce di Dio, che solo conosce i segreti del cuore.

“Così parlommi, e poi cominciò Ave,/Maria cantando, e cantando vanio/Come per acqua cupa cosa grave”. Piccarda, con il saluto angelico, con l’Ave Maria, offre al poeta il viatico che lo accompagnerà fino alla visione e contemplazione del volto di Dio.

Le parole di Piccarda, l’ultimo frammento di terra nel regno dei beati, sembrano sublimarsi in una leggera e dolce armonia del canto dell’Ave Maria, mentre la sua immagine si dissolve e si scioglie nelle acque nitide e cristalline, così  come era stato il suo apparire. Ave Maria, cantando:è la prima nota musicale dell’angelico pentagramma che prepara all’ascolto contemplativo della divina sinfonia.

Ancora una volta è il nome di Maria la parola d’ordine, il lasciapassare verso la meta ultima del suo itinerario verso il mistero di Dio.

Basilica-Santuario Madonna del Colle in Lenola,  25 marzo 2021 Dantedì

26 marzo 2021, memoria del Battesimo di Dante nel suo “Bel san Giovanni” in Firenze 1266