IL LIBRO DEI SALMI: DIMORA DI MARIA

Ci accompagnano in questa meditazione  le parole di Sant’Ambrogio, nostro Padre e Maestro: “Sia in ciascuno di noi l’anima di Maria nel magnificare il Signore, sia in ciascuno di  noi lo spirito di Maria nel lodare il Signore”. Entriamo nel libro dei Salmi, la dimora di Maria,  proprio con i  primi  versetti del Salmo 1 che, non a caso, viene definito il grande  portale dell’intero  Salterio.

 Beato l’uomo che non segue il consiglio degli empi,

non indugia nella via dei peccatori

e non siede in compagnia degli stolti;

ma nella legge del Signore trova la sua gioia,

la sua legge medita giorno e notte.

 

Sarà come albero piantato lungo corsi d’acqua,

cha darà  frutto a suo tempo:

le sue foglie non appassiscono

e tutto quello che fa, riesce bene.

 

Un antico Padre della Chiesa Siro-orientale, Ish’ad di Merw, con parole poetiche commenta questi versetti guardando a Maria, la donna sapiente del Vangelo che, come sottolinea Luca: “serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore”. Egli chiama Maria un giardino di rose . “Le rose sono quelle piante che crescono lungo  le rive dei corsi d’acqua, e sulle quali spuntano dei fiori che sbocciano in rose. Queste piante si chiamano l’albero di Maria” Maria, secondo l’immagine di questo  antico Padre della Chiesa, è quell’albero che affonda le sue radici lungo i corsi d’acqua della parola di Dio, albero che dà il frutto a suo tempo, le cui foglie non appassiscono e  i cui fiori spandono il loro profumo, che come incenso, sale verso il cielo. Queste piante, dice questo santo Padre, “sono chiamate l’albero di Maria”. Da questi versetti del Salmo 1 possiamo giustamente affermare che Maria è quel seme che germina sul terreno fecondo del salterio, e l’immagine dell’acqua ci rimanda a quella stupenda icona salmica della cerva assetata che spasima verso la fonte delle acque sorgive.

 

Come la cerva anela ai corsi d’acqua,

così l’anima mia anela a te, o Dio.

L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente:

quando verrò e vedrò il volto di Dio? (Salmo 42, 1-2).

 

Noi conosciamo poco della vita di Maria dai Vangeli canonici, essi ci fanno intuire con parole molto sobrie tutto il mistero di Maria riflesso nel cristallo del mistero di Cristo, e questo ci basta. Tuttavia non possiamo rinunciare, sulla base di fonti molto attendibili, a conoscere il clima spirituale, culturale e religioso nel quale Maria, figlia d’Israele, crebbe, ricevette la sua educazione, e  la formazione nella tradizione dei padri e delle madri d’Israele. Nel Protovangelo di Giacomo, testo antichissimo e venerando, datato circa nell’anno 150 d.C. leggiamo le parole che il sommo sacerdote rivolge a Maria adolescente, già promessa sposa a Giuseppe: “Tu sei stata allevata nel Santo dei Santi; hai ricevuto il cibo dalla mano di un angelo, hai udito il canto dei Salmi e hai danzato davanti a lui”. (15,3) Nel quarto libro dei Maccabei possiamo trovare una straordinaria testimonianza della fede d’Israele e della sua trasmissione, quando i sette fratelli Maccabei dicono del loro padre: “Quando egli era ancora presso di noi si preoccupava di insegnare la Torà e i profeti… Egli cantava anche gli inni (tehillim) di Davide, che dice: “Molte sono le tribolazioni del giusto (Salmo 30, 20)” (4 Mac 18,10.15). Quanta sottigliezza e quanta finezza pedagogica rivela questa testimonianza! !La Torà la si deve insegnare ai propri figli, come si legge nello Shemà  Israel Dt 6,6): “Questi precetti li insegnerai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai”. Ma dei Salmi cosa si dice? E’ detto semplicemente: “Egli, nostro padre, li cantava”. E l’eco di quel canto penetrava nell’animo dei figli, risuonava in tutta la casa in un’armonia di pace, in un clima di preghiera solenne, e gioiosa. La casa dell’ebreo diventava il tempio domestico, una Gerusalemme domestica. Questa testimonianza, databile pochi decenni prima di Cristo, è per noi preziosissima proprio perché ci offre uno spaccato della vita di ogni famiglia ebraica al tempo dell’infanzia della madre di Gesù. Nella testimonianza dei sette fratelli Maccabei possiamo intuire e vedere quasi in trasparenza il clima che si respirava nella casa di Gioacchino ed Anna, e poi nella casa della famiglia di Nazaret. Nella famiglia di Maria adolescente, e nella casa di Nazaret poi, i precetti della austera Torà si sciolgono nella preghiera, trascolorano in puro canto, nel canto del cuore. L’immenso ghiacciaio della Torà, il grande massiccio del monte Sinai si sciolgono in rivoli di acqua pura, sorgente che disseta, Wadi che feconda il deserto, rivoli e sorgenti di acque refrigeranti che ci richiamano l’immagine della cerva assetata del Salmo 42, che abbiamo sopra richiamato. Ora poniamoci una domanda: “Vogliamo conoscere l’identità d’Israele, il popolo scelto dal Signore, vogliamo conoscere l’anima d’Israele, vogliamo penetrare nelle fibre più intime del suo cuore, vogliamo conoscere i sentimenti più profondi, i desideri, le gioie, le lacrime, le intime ribellioni, la sete del Dio vivente? Leggiamo, meditiamo, mormoriamo, ruminiamo, preghiamo i salmi, entriamo nella dimora del salterio, lì ci troveremo come a casa nostra, lì troveremo il santuario del Messia, lì troveremo la dimora di Maria, figlia d’Israele e madre del Messia . “Leggendo il salterio, ci può accadere di scoprire ‘dove siamo’. Perché, come insegna Rabbi  Nachman di Breslav, ‘ogni uomo, secondo quanto egli è, può ritrovare se stesso nel libro dei  Salmi”. Il salterio è il santuario del Dio vivente. Tutta la vita di Davide fu proiettata a edificare il tempio del Signore in Gerusalemme. L’opera, tuttavia, fu compiuta da suo figlio Salomone. Davide era destinato a edificare un altro santuario fatto non di pietre, marmi e legname prezioso, ma di parole ispirate: il Salterio. Il libro dei salmi può essere a ragione definito il santuario del Dio vivente, il santuario del Messia, infatti per noi cristiani  l’intero salterio è un indice puntato sul messia, sul Cristo. Vogliamo sostare un poco in questo santuario, in questa dimora del Dio vivente, nella tenda santa  del Messia, nella casa di Maria, e scopriremo che questa è anche la nostra casa, la nostra patria, l’anagrafe dove sono registrati i nostri nomi. E’ la nostra Gerusalemme. Sostiamo un poco nel salmo 87.   

Le sue fondamenta sono sui monti santi;

il Signore ama le porte di Sion

più di tutte le dimore di Giacobbe.

 

Di te si dicono cose stupende,

città di Dio.

Ricorderò Raab e Babilonia fra quelli che mi conoscono;

ecco, Palestina, Tiro ed Etiopia:

tutti là sono nati.

Si dirà di Sion: “L’uno e l’altro è nato in essa

e l’Altissimo la tiene salda”.

 

Il Signore scriverà nel libro dei popoli:

“Là costui è nato”

E danzando canteranno:

“Sono in te tutte le mie sorgenti”.

 

Il salterio, come la città santa, come il santuario del Dio vivente, ci accoglie non come stranieri e come ospiti, ma come cittadini, perché è la nostra casa, che Dio stesso ha progettato, ispirato, costruito con cura, l’ha adornata di  ogni bellezza, come dice un antico midrash dei maestri d’Israele: “Dieci misure di bellezza sono state accordate al mondo dal Creatore, e Gerusalemme ne ha ricevute nove”. Gloriosa dicta sunt de te, civitas Dei!  Di te si dicono cose stupende, città di Dio! Nel libro del profeta Ezechiele troviamo questa dichiarazione  di straordinaria densità, quasi una dichiarazione col suggello di un atto notarile: “La città di Sion si chiamerà dal quel giorno in poi: “Là è il Signore” (Ez 48,35). Il Signore è il primo cittadino residente nella città di Sion, il suo nome è iscritto nell’anagrafe di Gerusalemme: nell’anagrafe del salterio. Il Salmo 87 ci dice che il Signore vuole condividere con tutti gli uomini questa dimora, questa casa per tutti i popoli, essa è il grembo dove ogni uomo è nato, è il libro dell’anagrafe, dove ogni uomo è registrato.

 Ricorderò Raab e Babilonia fra quelli che mi conoscono;

ecco, Palestina, Tiro ed Etiopia:

tutti là sono nati.

Si dirà di Sion: “L’uno e l’altro è nato in essa.

Il Signore scriverà nel libro dei popoli.

“Là costui è nato”.

 

I settanta popoli della terra, secondo le coordinate bibliche, sparsi nei quattro punti cardinali, sono nati a Sion, i loro nomi sono registrati nell’anagrafe di Sion, nell’anagrafe di Dio. L’espressione  è nato là” (Jullad sham”, ripetuta per ben tre volte in tre versetti suona come una formula giuridica, un atto ufficiale col quale si dichiara un individuo nativo di una determinata città, e come tale dotato della pienezza dei diritti municipali, gli stessi diritti di cui gode lo stesso Dio. 

Rainer Maria Rilke, nato a Praga ma considerato grande poeta di lingua  tedesca, e anima profondamente segnata dal sentire religioso, aprendo il proprio animo al suo editore, in momento di grande angoscia esistenziale, così si esprimeva: “Ho trascorso da solo la notte in qualche bilancio interiore, e alla fine, alla luce del mio albero di Natale nuovamente acceso, ho letto il libro dei salmi, uno dei pochi libri in cui ci trova a casa, per quanto distratti, disordinati e contestati possiamo essere”. Parole folgoranti, quelle di Rainer Maria Rilke, intuizione penetrante: il grande poeta va diritto al cuore del salterio, spesso il poeta  precede e anticipa il teologo e l’esegeta. Non dobbiamo dimenticare che i Salmi sono poesia, che, come la rugiada mattinale, al primo sole evapora in preghiera che sale verso il cuore di Dio. Se Gesù è il “dolce cantore dei Salmi”, Maria è la “Tympanistria nostra”, diceva sant’Agostino, colei, che come Miriam, sorella di Mosè e di Aronne, ha cantato i cantici del Signore, accompagnandosi con il suono del timpano. “Canterò al Signore sommamente eccelso, cavallo e cavaliere precipitò nel mare”, così aveva intonato Mosè la sua Cantica di ringraziamento per lo scampato sterminio del suo popolo, e “Miriam, la profetessa, sorella di Aronne prese un cembalo in mano e tutte le donne uscirono dietro  di lei con dei cembali e danzando. E Miriam rispondeva ai figli di Israele: “Cantate al Signore sommamente eccelso, cavallo e cavaliere precipitò nel mare”. Così si legge nel libro dell’Esodo (15, 2). La cantica del mare è la prima grande voce salmica della storia della salvezza. Si può dunque legittimamente affermare che all’inizio del salterio c’è Mosè, la guida carismatica, ma non può mancare Miriam, la profetessa, così la chiama la Scrittura. Il Canto del mare, infatti, può essere considerato il primo salmo che è scaturito dal cuore d’ Israele, rappresenta l’epopea della salvezza, è il poema fondativo della storia di Israele. Nella tradizione dei Padri, Miriam, la sorella di Mosè e di Aronne, viene vista come prefigurazione, simbolo, profezia di Maria di Nazaret, se non altro per il nome comune, nel nome c’è sempre un destino, una missione, almeno nella logica della Bibbia. Come nel grande evento della liberazione dell’Esodo c’è il canto di e la danza di Miriam, così all’inizio dell’evento-mistero dell’Incarnazione del Verbo eterno, troviamo il canto e la danza di Maria di Nazaret nel suo Magnificat. Il Magnificat, il cantico per eccellenza di Maria, non è altro che il compendio dell’intero salterio. Perciò, come  gli uomini e le donne d’Israele si univano a Miriam, sorella di Mosè e di Aronne,  nel cantare il ritornello della Cantica del mare, allo stesso modo anche noi ci uniamo al coro di Maria di Nazaret nel cantare, nel meditare e nel mormorare i Salmi. Lo aveva ben intuito sant’Ambrogio, come abbiamo detto all’inizio, quando diceva: “Sia in ciascuno di noi l’anima di Maria nel magnificare il Signore, sia in ciascuno di noi lo spirito di Maria nel lodare il Signore”. Dopo il canto del suo Magnificat, Maria entra nel grande silenzio. L’evangelista Luca, tuttavia, per ben due volte sottolinea la dimensione salmica di Maria: “Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19). Il silenzio contemplativo di Maria  diventa ruminazione e mormorio della Parola che si dilata nel canto della lode, come dice l’inizio del Salmo 65: Lekhà dumijjah, tehillah , Elohim, beTzijjon” Per te il silenzio è lode, o Dio, in Sion L’eco di questo salmo risuona nel canto di Proclo di Costantinopoli, l’ultimo grande filosofo e poeta pagano, vissuto in epoca di piena diffusione del cristianesimo.

“O Inconoscibile, nessuno ti contiene.

Tutto ciò che pensiamo ti appartiene,

Sono da te i nostri mali e i nostri beni,

da te ogni nostro anelito dipende.

O Ineffabile, che le nostre anime sentono presente.

A te eleviamo un inno di silenzio”.

Maria entra nella Beatitudine dell’ascolto, nella dimensione salmica del grande silenzio,  nel desiderio struggente di dimorare giorno e notte nella casa di Dio, come leggiamo nel Salmo 84.

Quanto sono amabili le tue dimore,

Signore delle schiere!

L’anima mia languisce e brama

gli atri del Signore.

Il mio cuore e la mia carne

esultano nel Dio vivente.

Anche il passero trova la casa,

la rondine il nido,

dove deporre i suoi piccoli,

presso i tuoi altari,

Signore delle schiere, mio re e mio Dio.

 

Beato chi abita la tua casa:

sempre canta le tue lodi!

Beato chi trova in te la forza

E decide nel suo cuore il santo viaggio.

 

Maria entra nella beatitudine del passero e della rondine che hanno il privilegio di fare il loro nido sotto le grondaie e negli interstizi delle pietre del santuario di Gerusalemme, luogo della divina Shekinà, della divina Presenza. Quanta nostalgia struggente in questi versi salmici!  E’ la nostalgia struggente del pio israelita  che ha compiuto il suo pellegrinaggio annuale al santuario, e prima di congedarsi, alza gli occhi per l’ultimo saluto al tempio, e  prova invidia, santa invidia!, per il passero e per la rondine che hanno trovato il luogo del loro riposo presso gli altari del Signore.

 

Anche il passero trova la casa,

la rondine il nido

dove porre i suoi piccoli,

presso i tuoi altari,

Signore delle schiere, mio re e mio Dio.

 

L’intera vita di Maria, la sua intera  esistenza quotidiana diventano preghiera, come è scritto nel Salmo 109: “ ‘ani tephillah – io sono preghiera”. Stupendo è il commento di Rabbi Bunan al versetto: “Io sono preghiera”. Egli scrive: “E’ come un povero che non ha mangiato da tre giorni e i suoi abiti sono stracciati e così appare davanti al re; ha forse bisogno di dire che cosa desidera? Così stava Davide davanti a Dio: egli stesso era preghiera”. L’intera esistenza di Maria di Nazaret si è  ormai dissolta in preghiera: ella stessa è preghiera. E’ detto nel salmo 147,1: “E’ bene cantare al nostro Dio”. Rabbi Elimelek così interpretava: “E’ bene se l’uomo fa cantare Dio in lui”. Non è più Maria a cantare al suo Dio, ma è Dio che canta in lei. Queste parole di commento di Rabbi Elimelek sono la degna chiusura del nostro dimorare  nella casa del salterio, dimora di Maria di Nazaret. In Maria si condensano, dunque, le parole di sant’Agostino: “Psalterium meum, gaudium meum!”.  Amen.

Nazareno Pandozi